da AUDIODROME.IT

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track/Audioglobe)

Nuovo lavoro per i Dummo, gruppo di difficile catalogazione, ma al contempo di sicura presa: troppo ruvidi per essere indie, troppo raffinati per essere punk, probabilmente rappresentano solo una delle possibili evoluzioni/contaminazioni a cavallo dei due generi.

In realtà, c’è qualcosa in più che si agita all’interno di queste nove tracce, ovverosia la possibilità di sfuggire all’ovvio senza per questo cadere nella stramberia o nel parlarsi addosso. I Dummo seguono linee melodiche sghembe e le fanno apparire quanto di più naturale possa esserci, camuffano la propria follia e ricoprono le urla con il sorriso da ragazzo della porta accanto. Il trucco sta tutto nell’ incredibile dote di saper fondere elementi dissonanti e con essi dar vita a brani che affascinano per sensibilità e capacità affabulatoria, senza mai dover gridare o comprimere il suono, quasi si trattasse di veleno da far filtrare sotto pelle goccia a goccia, impercettibilmente. A tratti, possono ricordare dei lontani cugini dei Frammenti, ma è una sensazione che dura un attimo come quando si vede passare qualcuno di sfuggita con la coda dell’occhio, in altri momenti prevale la sensazione di disorientamento dovuta alle molteplici sfaccettature del linguaggio utilizzato, ma è un disorientamento piacevole che lascia leggermente ebbri e mai storditi. In realtà, ciò che fa la vera differenza è il trovarsi di fronte ad un lavoro capace di catturare l’attenzione e di lasciare una sensazione di appagamento alla fine della corsa, come le piccole cose in grado di cambiare una giornata e perciò fondamentali per la nostra sopravvivenza quotidiana. Punk, indie, noise, rock? Poco conta, ciò che vale la pena segnarsi è il titolo di un disco che vale la pena aggiungere alla propria collezione.

recensione di Michele Giorgi

da MUSICBOOM.IT

POST PUNK IN CONFETTI: DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track/Audioglobe)

Mettiamola in questo modo: una mattina ti rechi al lavoro nella via centralissima della città,perdi il parcheggio per il solito ignorante di turno, che venendo controsenso lo soffia in estremis; la cosa ti innervosisce e quando sei dal tabaccaio decidi di rompere le abitudini e invece del solito pacchetto di senza zucchero ne prendi uno appariscente e zuccheratissimo, ma al primo confettone ti accorgi che non era quelo che volevi, il gusto diventa ricco solo quando si arriva al cuore del confettone, e quando questo avviene il confettone si dissolve, allora giù un altro e poi un altro, finchè non decidi di mandar giù tutto il pacchetto,solo allora il piacere che cercavi si trattiene a lungo, ma non tantissimo.

Gelo Chiama Gelo dei Dummo non è un pacchetto di caramelle ma ha lo stesso sapore: una dopo l' altra ingerisci Punk-Songs cercandone il gusto, e quando arriva finisce,e solo alla fine, con l' ultimo pezzo che supera i tre minuti hai una sensazione piena: rabbia adolescenziale poco cantata e molto urlata con bravura e sagacia,racchiuse in un minuto e poco più.
Un suono molto indie, tramite il quale il trio di Perugia, con bordate Post-Punk, violenta nove pezzi in poco più di sedici minuti mostrando grossa capacità di sintesi, dove i muri costruiti dalle chitarre vengono corrosi in maniera claustrofobica dalle voci piene di reverbero e alcool, testi che quasi non si distinguono cercano un assalto continuo alle certezze(sono fuori tempo non ti preoccupare), e melodie che entrano, dopo pochi passaggi.
A parte la titletrack, che è l' ultima, è diffiile distinguere i buoni e i cattivi tra queste microsongs, anche perchè, avendo sufficienti capacità tecniche i Dummo rendono le cose , vuoi per il ronzio della melodia, vuoi per qualche soluzione appropiata, quasi sempre interessante. Si distinguono, comunque, Tutti Gli Occhi Per Terra per connotazione puramente estetica (dotata di chitarra acustica) e Gli Scienziati L'Hanno Capita Prima Di Te per forza e "originalità", ma da Tra Lo Stereo E Il Leto fino alla fine si viaggia senza soluzione di continuità, ritmo alto e tensione costante.

La critica si dibatte molto su questi ragazzi, rei di essere dei cloni di qualcuno o qualcosa. In verità è probabile che si dimentichi un'attitudine fondamentale del Punk in tutte le sue derive, e cioè che lo strumento è al servizio dell' intelletto (o dell' uomo se preferite) e non viceversa, ed è quindi relegato al ruolo di comprimario, poiché tre accordi bastano a descrivere tutto il mondo e anche di più, bastavano negli anni settanta così come bastano oggi.
E' quindi inutile cercare l' ape più bella in uno sciame, può essere più semplice afferrrarne una e se ci piace la teniamo, e questo terzetto umbro si può sicuramente tenere, senza dimenticare poì che un nostro amico comune diceva "chi non ha mai copiato scagli la prima penna.

recensione di Francesco 'mebahiah' Mazzola

da RUMORE # 201

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track/Audioglobe)

Piccoli Altro crescono. Con un terzo disco breve e intenso (nove tracce, sedici minuti) il giovane trio di Umbertide si conferma come una delle realtà più interessanti del panorama nazionale. Ci riesce facendo la sua cosa, guardando avanti e curandosi poco di mode e tendenze, in questo prendendo il trio pesarese a modello ideale più che strettamente sonoro. Certo la title track, Maschera di cane, il convulso finale acustico di Tutti gli occhi per terra e l'attacco di L.O.O.K.I.E. sono rimandi abbastanza diretti, ma sono soprattutto la voce urlata e sommersa nel votice degli strumenti, la foga, la spontaneità e quel senso di abbandono, di crollo imminente, ad evocare il miglior gruppo italiano. Con l'emo buono degli anni '90 come radice, al posto della new-wave e dell'hardcore. Frammenti di punk creativo come Da una parte e dall'altra e Gli scienziati l'hanno capito prima di te, intanto, indicano la strada da percorrere, e bastano da soli a rendere inutile ogni ufficio stampa.

recensione di Andrea Pomini

da BLOW UP # 125

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track/Audioglobe)

Sono canzoni che bruciano in un attimo quelle contenute in "Gelo chiama gelo", dove i Dummo, dopo i trascorsi angolofoni, si appropriano del cantato in italiano: a squarciagola. L'irruenza qui fa rima con una fibrillazione tutta comunicativa mentre la spontaneità sposa un concetto di confusione come condizione transitoria dell'anima. Questa carica in eccesso non protende verso soluzioni sconclusionate ma piuttosto fa riferimento a motivi che per lo più ti si stampano in testa senza possibilità di rescissione (in particolare L.o.o.k.i.e. e quella specie di filastrocca che è Maschera da cane). Volendo trovare parentele citeremmo l'urgenza post-punk degli Altro e i rilievi della stagione emo/indie che fu di Cap'n Jazz o Braid. Qualche accorgimento in fase di registrazione e produzione avrebbe giovato, senza nulla togliere a questo mix di cuore, rabbia giovane e nonsenso. Per chi avesse dimenticato cosa vuol dire avere ventanni, "Gelo chiama gelo" risulterà un efficace promemoria.

recensione di Fabio Polvani

da VITAMINIC.IT

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track)

C’era tutto un giro di bands che stavano nel loro e facevano grandi cose. Parliamo di un periodo a ridosso del cambio di millennio, e parliamo di punk evoluto. Anna Karina, Sprinzi, To The Ansaphone, With Love eccetera. Finchè il giro è rimasto contenuto andava da dio, dopo qualche tempo le cose si sono ingrandite e si è sfasciato quasi tutto. ToLoseLaTrack è un’etichetta di poco posteriore, ma che guarda totalmente a quel metodo: dischi di amici per un pubblico di amici, alla ricerca di un’identità personale. L’attività di Luca Benni nella zona (dischi, concerti) è una delle principali determinanti dello sviluppo di un minuscolo giro di bands dell’Umbria settentrionale. Per sapere cosa si è bisogna aver chiaro cosa non si è, cantavano i Laghetto (il miglior gruppo italiano di ogni tempo): Gelo Chiama Gelo è una raccolta di nove bordate post-punk al di sopra di ogni sospetto trendista che segna il ritorno di Dummo al banchetto con il secondo disco lungo. Nel difficile valico tra funk e marchetta Dummo sceglie di divenire altro, con la malcelata aspirazione di essere Altro. Testi in italiano inintelligibili, chitarre sferraglianti, canzoni essenziali e stortissime, un muro di suono messo su alla bell’e meglio con tutta la disperazione di questa terra. Naturalmente Perugia ’08 non è come dire San Diego ’96, ma è comunque un disco che parla di voglia di distinguersi da qualcosa, staccare, mettersi in piedi e tirare il fiato. Per sapere cosa si è bisogna aver chiaro cosa non si è. Non proprio roba per tutti.

recensione di Francesco Farabegoli

da ROCKLAB.IT

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track)

Sguaiato, sporco, essenziale e potente 'Gelo Chiama Gelo', nuovo disco dei Dummo, farà storcere il naso a più persone. In poco più di quindici minuti i Dummo si fanno ancora più scarni e immediati, arrivano ad una forma assurda e espressionista della lingua italiana avvicinandosi così ai sempre più celebrati Altro ma mantenendo la propria personalità, che già era delineata nella perla di punk e indie-rock che era ‘A Hundred Times Mannaggia’, un’urgenza espressiva trascinante. Quello dei Dummo è un ritorno che porta imbarazzo nell’ascoltatore, poco più di quindici efficaci minuti (che però permettono all’album di non venire a noia), sgraziati e sempre più veloci, ma capaci di ferire l’ascoltatore con brani come Maschera da cane o il post-punk dell’ottima titletrack che chiude l’album.
Un ritorno che magari non porterà le tanto sospirate ventate d’aria nuova, ma che si fa ascoltare con lo stesso piacere viscerale con cui il gruppo sputa fuori queste nove canzoni, tanto grezze e lancinanti quanto affascinanti.

recensione di Daniele Guasco

da EMOTIONALBREAKDOWN.WORDPRESS.COM

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track/Audioglobe)

Gli altri 3 balordi che scrivono su questo blog si sono sicuramente accorti della mia attuale ossessione per i Dummo (Matteo è già dalla mia, suppongo anche Ghibo, aspetto la resa di Mattia), e non stavo così “sotto” per una band da quando a 14 anni ascoltai per la prima volta gli At the drive-in, o a 15 i La Quiete e ultimamente i Tiny Hawks. Quindi la sto sparando grossa, sappiatelo. Difficile fare paragoni e/o trovare delle coordinate su cui piazzarveli per farvi capire di cosa sto scrivendo, insomma non aspettatevi : -o cazzo, sono gli “x” più gli “y”, quindi  ti devon piacere-. Posso solo dirvi di prendere pezzi come “L.O.O.K.I.E.”  che davvero mi danno tutto quello di cui ho bisogno, testi coi controcazzi* annessi. E se dopo “4/4 volte e mezzo scusa” o la irresistibile “maschera di cane”  non vi dicono ancora niente probabilmente non sarete mai miei amici (oppure siete Mattia). Se poi avete gli occhiali con la montatura spessa, avete bisogno del vostro momento profondo in cameretta e siete fan di certo emo-indie-punk fine anni 90′ “da una parte e dall’altra” vi soddisfa a dovere. Personalmente penso che il modo migliore per ascoltarli sia in un grigio pomeriggio di novembre, in cuffia, mentre si è da soli al parco, e all’improvviso un cane comincia ad inseguirti. Il disco non dura tanto, assicuratevi di essere sani e salvi in tempo. indie?emo?punk?lo-fi?post-punk?
Oh. giovani, brutti e melodici quanto basta. Che volete di più?

resta con me
si frenano i tram.
resta con me
il cielo e troppo basso.
cosa c’è rimasto?

*giuro che non userò mai più locuzione da giovane come “controcazzi”.

recensione di Adriano

da ROCKIT.IT

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track/Audioglobe)

In Italia è difficile non affiancare "Gelo chiama gelo", il nuovo dei perugini Dummo, a un cd degli Altro, perché in Italia a fare punk/screamo con testi imprevedibili in madrelingua sono pochi, forse gli unici. Gli unici, inoltre, a fare della velocità una qualità indomabile delle proprie canzoni, fino alla compressione totale, spesso a discapito della comprensione. Gli unici, nel genere, a scrivere dei testi estremamente sintetici e predatori.
Nel caso dei Dummo sono parole lo-fi e meta-ironiche, alienate ma semplici. Anche se, costretti dalla ritmica accelerata delle melodie a spostare tutti gli accenti, "Gelo chiama gelo" non sembra quasi cantato in italiano. S'intrasentono solo poche frasi come "Entro con la maschera da insetto esco con la maschera da cane". Registrato meglio dei demo precedenti, ha un suono che rilascia scariche di gelo anni 80, fatte di scariche di batteria di chitarre e di voce, e spesso scariche di sbigottimento da parte di chi lo ascolta. Tipo un cavaliere dello zodiaco che ha il potere di ghiacciare l'aria, se esiste. Stop-and-go si susseguono intermittenti, cerchi di ascoltare i brani e non ci riesci, è già cambiato il ritmo, è già finita la canzone. Tutto scorre via accecando di luce attraverso gli alberi come sui treni, allora si cerca di restare dietro alle melodie, canzoni indie accartocciate ripiegate, e tagliuzzate per prendere la sagoma di canzoni punk. E poi guardi la copertina e ti verrebbe da attaccarla al muro da quant'è bella: l'illustrazione di una respirazione bocca a bocca che all'interno è operata da due vampiri verdi, e flussi e prelievi di sangue. Un'aria da gothic fumetto parodiaco, che si respira espressa in una serie di neologismi e di singhiozzante ilarità un po' in tutto l'album.

recensione di Claudia Selmi

da IL MUCCHIO.IT

DUMMO - Gelo chiama gelo (To Lose la Track/Audioglobe)

Una copertina come quella dell’esordio sulla “lunga” distanza dei Dummo è talmente surreale che si presta ad una ridda di interpretazioni. Quella che personalmente trovo più adatta vede “Gelo chiama gelo”, pubblicato dall’interessantissima To Lose La Track, come il tentativo di un giovane power-trio di rianimare le sorti del punk italiano. Innanzitutto cercando di rimodulare il genere dall’interno, partendo da ritmiche spesso composite ed evitando le soluzioni più abusate. Quanto di buono già sentito nell’EP “A Hundred Times Mannaggia” è qui ulteriormente sviluppato, a partire dall’abbandono del canto in inglese per abbracciare la lingua madre, una scelta questa che abbinata a testi tanto scarni quanto declamati con urgenza è la vera particolarità dello stile del gruppo. Nove brani, nove schegge impazzite che solo nel finale riescono a superare i due minuti e che trovano la chiusura del cerchio nella title track che chiude venti minuti che sanno essere disturbanti proprio come l’essenza più vera del genere di riferimento. Certo, non a tutti piacerà un cantato sforzato ed una musica più interessata al “togliere” che all’“aggiungere”, ma chi cerca di andare oltre il già sentito si deve per forza scontrare con convenzioni ed esperienze. Non è facile raccogliere soddisfazioni portando in giro musiche come queste, soprattutto lungo lo Stivale. Continuate su questa strada, e speriamo che il mondo la fuori si accorga di voi (www.toloselatrack.org).

recensione di Giorgio Sala

da KRONIC.IT

DUMMO - Gelo chiama gelo.

Un frullato di emozioni
Punk nel cuore, indie nell’anima e noise nella testa i Dummo sono tornati. Il trio perugino ha buttato giù nove perle urticanti per sedici minuti di pura passione musicale, in cui furia ed emozioni prendono per mano l’ascoltatore in un velocissimo vortice sonoro.

Dopo le cinque tracce del precedente “A Hundred Times Mannaggia”, i Dummo continuano nella loro frenetica ricerca di un percorso sonoro post-punk indipendente dalle mode del momento. Spontaneità e freschezza, ritmi nevrotici e spiragli melodici, traiettorie sghembe e chitarre nervose tratteggiano un’opera immediata e profonda, una rarità per il genere in questione. Tra i brani presenti si fanno apprezzare oltremodo la splendida calma dopo la tempesta della traccia che dà il titolo all’opera, le divagazioni emo di “Maschera da Cane” e le continue sovrapposizioni di “L.O.O.K.I.E.”.

Un’iniezione di energia per gli amanti delle sonorità vertiginose tinte di hardcore sperimentale, un condensato di rabbia e melodia, un toccasana per i vostri sensi. Caldamente consigliato.

recensione di Alessandro Bonetti

da ROCKIT.IT

DUMMO - A Hundred Times Mannaggia

L'etichetta che li ha supportati, To Lose La Track, è la stessa di Fine Before You Came e Tiger! Shit! Tiger! Tiger!. Una produzione lo-fi che parte dalla cameretta per poi bruciarla. Voce emo/screamo. Giri noise. Ritmi sfuggevoli e tempestivi. La peculiarità dell'ep è la fugacità dei pezzi. Una fugacità sofisticata e voluta, che diventa rumba e vertigine hardcore punk.
I brani respirano di ritmi indipendenti. E per 1 minuto e 45, indefiniscono una musica che corre lungo la spina dorsale. Così velocemente da lasciare sensazioni. A tinte forti, ma indolore. Non ha tempo di far male. Solo di percorrerti. Incredibile come si possa rendere sensazionale un minuto. Con la dirompenza di ritmi sguaiatamente all'assalto e all'arrembaggio, con uno stile netto eppure ardito e spigliato (hardcore punk flesso in rumba, gypsy punk, noise), è possibile, forse inevitabile, far esplodere il tempo. Esplodono e non c'è più modo di soddisfare le curiosità. Oramai è cosa fatta. Il gusto (di miccia) che il cd emana si percepisce già tenendo in mano la custodia, in finissimo foglio di compensato, leggendo l'agile leggerezza del titolo "A hundred times mannaggia", e osservando il disegno enigmatico in copertina di Iacopo Lietti di Heartfelt, cantante dei Fine Before You Came (presente anche alla voce nel brano di "Oh, home"). Dummo, una creatura con sei gambe, ha talento passione e stile. Cosa le manca? Il tempo e l'approvazione dovuta. O almeno è quello che ci auguriamo per lei.

recensione di Claudia Selmi

da ROCKLAB.IT

DUMMO - A Hundred Times Mannaggia

Grezzi, ma quasi ipnotici nel loro esserlo. Immediati, ti entrano in testa dopo due ascolti. Vitali, con la classe che pochi però sanno avere. Per produrre questo ep d'esordio dei Dummo sono scese in campo ben quattro etichette e persino la webzine Movimenta. Tutto questo per soli dieci minuti di musica che sono come il caffè solubile, manca solo l'acqua, e mi sembra quasi assurdo che a più di un anno dall'uscita nessuno ce l'abbia ancora aggiunta; questo perché i Dummo mi sembrano uno di quei gruppi che al momento potrebbero avere parecchio successo nel panorama indipendente italiano grazie a un continuo conflitto tra indie-rock e punk che per tutte le cinque tracce non trova mai un vincitore - per farci capire, nel catalogo Unhip ci starebbero a fagiolo. Del resto assomigliano agli ultimi Death of Anna Karina, solo più spontanei e freschi. Comunque cinque tracce corte ma d'effetto, con apice “Beep is not an answer” dal ritornello ultra-memorizzabile, che spicca anche per le parti di chitarra e per il finale strambo-robotico. Ospitata conclusiva alla voce di Jacopo dei Fine Before You Came. Il cd finisce in fretta, e anche aggiungendoci il recente 3'' non si raggiungono i venti minuti. A quando una sana ora di Dummo?

recensione di Daniele Guasco

da RUMORE n. 166 - Novmbre 2005

DUMMO - A Hundred Times Mannaggia

Si coalizzano quattro piccole indipendenti e una webzine per produrre il debutto di questo giovanissimo trio umbro, nove minuti di intenso e frenetico post-punk dall'animo pop. Chi ha potuto vedere la band dal vivo sa dell'energia e della spontaneità che i tre riversano in quello che fanno, e ritroverà con piacere le stesse caratteristiche in questicinque brani amabilmente grezzi e caciaroni: i Van Pelt e gli Altro che si sfidano a squadre miste su un campetto da basket
( arbitro Iacopo Lietti dei Fine Before You Came, che prende il microfono nella conclusiva Oh, Home ). Come biglietto da visita non c'è male davvero. Attendiamo di sentirli con produzione e registrazione migliori.

recensione di Andrea Pomini

da BLOW UP n.89 - Ottobre 2005

DUMMO - A Hundred Times Mannaggia. (To Lose La Track)

Si comincia in fibrillazione con Half Japanese ma a dispetto del nome che porta si pensa ai Van Pelt, così come in Schelotto. Si pensa ai Sonic Youth in certe distensioni e nelle dissonanze che accompagnano le primavere emo di Uncomfortably DIY. Nel mazzo mettiamoci pure gli El Guapo pre-danceteria. Meno riuscita la finale Oh, Home con un tono drammatico che non sembra adeguato all'indole della band. Frutto ancora acerbo ma in prospettiva potremmo sentirne delle belle.

recensione di Fabio Polvani

da MOVIMENTA ( www.movimenta.com )

DUMMO [the band for boys & girls who dont like guitar solos!]
Dummo is not a guitar hero

Chi conosce bene la filmografia di Harmony Korine avrà inteso subito quanto la sigla in questione, Dummo, ami giocare con i nomi e adori film piccoli piccoli ma tra i più geniali in circolazione. Per chi invece fosse all'oscuro di tutto ciò che lo riguarda, consigliamo vivamente la visione di Gummo, primo lavoro interamente diretto da Korine e parte di quella trilogia dedicata al lato oscuro e sballone dell'adolescenza americana, inaugurata nel 95 con Kids e terminata lo scorso anno con il sin troppo dissacrante Ken Park. E addirittura, udite udite, Dummo the band for boys & girls who dont like guitar solos sta per Gummo e la G è stata rimpiazzata dalla D di The Death of Anna Karina. Unico nome umbro degno di tutto il nostro e il vostro rispetto, reuccio di una realtà povera di idee, languida musicalmente e intellettualmente parlando che neanche il terzo mondo, Dummo ricorda tanto gli epigoni Superchunk quanto una qualsiasi sgangherata sigla indierock a stelle e strisce alle prime armi: lo-fi allo stato puro senza le quattro mura di una cameretta, questo ep di esordio, titolato sentenziosamente e con un bel pò di ironia "Dummo is not a Guitar Hero" si muove su territori sghembi affidati principalmente alle traiettorie tracciate dalle chitarre. E visto che di virtuosi della chitarra il mondo non ne sente il bisogno, scommettiamo su Dummo ad occhi chiusi.

recensione di Diego Masciotti [Jenkins]

 

da MOVIMENTA ( www.movimenta.com )

DUMMO
Bear Me Out

Neanche il tempo di digerire quel minuscolo esempio di scaltro indierock espresso nell'ep di esordio Dummo is not a Guitar Hero, che rieccoli in pompa magna con il debutto vero e proprio, i Dummo si autoproducono di nuovo dando un calcione bello tosto a tutti i virtuosi della chitarra rock e donano il frutto piu genuino che una sigla sotterranea possa pubblicare. Un frutto talmente indie che senti la puzza da un miglio; indie come scarpe da ginnastica e calzini di spugna indossati per settimane intere; indie come quel brufolo che non cessa di crescere; indie come quei maglioni a righe rosse e nere con le maniche troppo lunghe e larghe; indie come le classiche-classifiche-perditempo stilate in pomeriggi-quando-li-butti-via (Laghetto-cit.) in cui dovresti assolutamente ripetere l'ultima (in)utilissima lezione di semiotica; indie come un tour infinito trascorso a suonare negli incasinatissimi garages degli amici; indie come le patate tedesche; indie come le all-star (s)bucate e senza la griffe meglio quelle di un qualsiasi hard-discount; indie come un missile disegnato da un bambino occhialuto; indie come un orsacchiotto che pensa Bear Me Out, indie come il giallo che è il nuovo nero (Disco Drive-cit.).
Ciò che fa decollare Bear Me Out è soprattutto la sua forza d'urto quella del vai e spacca, quella che permette ai Dummo di picchiare i tamburi come il Gary Young del 92 dopo fiumi di vodka, di sparare la sei corde fino al surriscaldamento dell'ampli, di gridare/cantare a squarciagola la cosa piu weird e da loser che possa passare per la testa a un tizio un pò weird e molto loser, di giurare fede eterna ai coretti killers e ai call&response caciaroni, il tutto sommato, in quanto la moda del momento è questa, con qualche accenno di funk bianco da parrocchia.
Per chi scrive l'apice del disco è rappresentato dal trittico Grassed-Air Guitar Kills e la supercoolish Kind Hearts All Star sorta di summa del Dummo-sound in cui si scontrato nientemeno che l'urgenza di una qualsiasi sigla indie/emo in pieno trip da love-story, una rivisitazione da quindicenne di Superchunk e primissimi Sebadoh e il cazzeggio purissimo della bassa fedeltà riletta in chiave grunge stiloso con stile tipo Kurt Cobain versione punk-sbilenco periodo Incesticide. Per dirla tutta Bear Me Out è qualcosa di irresistibile perchè dotato di quel senso di sgangheratezza, approssimazione e incompletezza che solitamente tormenta gli esordi di sigle ai primi vagiti registrati con pochi pochissimi mezzi. Faccenda che nel caso dei Dummo aumenta il piglio dirompente brufoloso della musica tanto da farci sperare che al prossimo tentativo avranno tutte le carte in regola per entrare a far parte del mazzo che conta. Evviva l'hype e che Dio lo benedica.

recensione di Diego Masciotti [jenkins]

 

Da KATHODIK ( www.kathodik.it)

Dummo 'Bear Me Out'
(Autoproduzione 2004)

Semplicità ed efficacia. Questo andavo ripetendomi durante l'ascolto di questo ep d'esordio dei Dummo (sì Dummo e non Gummo come il film di Korine). I Dummo sono tre ragazzi non ancora maggiorenni di Umbertide: ridente cittadina umbra conosciuta per la florida attività concertistica come il Festival Sguardi Sonori o l' Italian Party (nei quali i nostri si sono potuti esibire). Se tutti i minorenni che mettono su un gruppo potessero sfoggiare il gusto e la maturità degli umbri, l'Italia sarebbe indubbiamente la nazione rock per eccellenza. Si sente che i tre sono venuti su ascoltando il meglio di punk, rock, emo e indie perché si riflette nei brani dove trovi un mosaico di influenze. Giusto per dare qualche direttiva, segnalerei l' "hit" Can't Borrow Tomorrow (che regalerà un sorriso ai seguaci dei The Death Of Anna Karina) e la "sonicamente giovane" Madame Baseball, veramente deliziosa. Linee di basso, giri di chitarra, drumming, convince tutto , bravi davvero. Unica pecca forse l'eccessiva "intertestualità". Insomma, si sente che non hanno ancora trovato il perfetto Dummo-sound ma hanno un roseo futuro davanti a loro. Esordio semi-perfetto, ora vogliamo ascoltare un lavoro intero.

recensione di Andrea Accorsi

Da KATHODIK ( www.kathodik.it)

Dummo 'A Hundred Times Mannaggia'
(To Lose La Track/Holidays Records/Eaten By Squirrels/Sons of Vesta 2005)

Frutto della cooperazione fra quattro giovani etichette -To Lose La Track (nome geniale), Eaten By Squirrels, Holidays Records, Sons of Vesta- e la webzine Movimenta, “A Hundred Times Mannaggia” è il secondo EP per i perugini Dummo. 5 brevi tracce, a metà strada fra indie rock e post punk, genuinamente grezze e sbilenche con echi di Altro, Van Pelt e Redworms'Farm. Iacopo Lietti, voce dei Fine Before You Came, ha curato la grafica dell'EP e canta nel brano conclusivo Oh, Home. Probabilmente dal vivo offriranno uno spettacolo energico e coinvolgente ma questi 9 minuti scorrono via in maniera un pò fredda e senza colpo ferire, in assenza di brani adeguatamente efficaci in tal senso (forse la sola Uncomfortably DIY). L'impressione (complice anche la registrazione non eccelsa) è quindi quella di un gruppo ancora un pò acerbo ma, a quanto pare, le potenzialità non mancano. Li aspettiamo alla prossima.

recensione di Rino Borselli

 

da RUMORE n. 146 ( Marzo 2004 )

il simapatico sticker dei dummo capeggia sul parabrezza della macchina del predicatore e il loro cidierre rolla sul portatile da qualche giorno. registrazione bella ruvida, belle canzoni, bella voce scordata, belle chitarre scordate, ora come ora solo gli ALTRO fanno musica con altrettanta energia e convinzione in questa italietta.

recensione del Predicatore

da BLOWUP n.76 ( Settembre 2004 )

Dummo - Dummo is not a Guitar Hero/Bear Me Out

Giovane band indie-punk che ha dalla sua (in potenza) tutto il mondo davanti e qualche intuizione per fare il suono più obliquo e meno provinciale (Can't borrow tomorrow, Air guitar kills nella versione di Bear Me Out, se isolate dal contesto, formerebbero un pregevole singolo). Possibili evoluzioni punk-funk (ma ci vorrebbero un pò di fiati). Consigliabile l'ascolto dei Liars (che forse già praticheranno).

recensione di Dionisio Capuano

da ALTERNATIZINE (www.alternatizine.com)

Bear Me Out è un frutto decisamente acerbo, dal sapore decisamente gradevole...Possiede quell'acidità necessaria a porre le basi per una possibile destrutturazione ulteriore ed interna dello stile stesso del gruppo, una musica dell'autodistruzione sonora, ricolma di cattivi propositi e distorsioni scomode. E' la strada giusta quella che percorrono i Dummo, certe volte con un appoggio alla Gun Club (Be a Kartoffel) con schizzi di grunge e noise sempre in costante opposizione interna, altre con un atteggiamento simile ai primi Sonic Youth (Air Guitar Kills) in un'atmosfera sempre sospesa tra amore, ironia ed odio nei confronti della tradizione rock'n'roll. Il germe dell'evoluzione sonora è sempre presente nelle sette tracce e dimostra come il gruppo abbia ampi margini di miglioramento creativo e compositivo. Paesaggi sonori squarciati da corde percosse e torturate con gusto in un atmosfera generale di celebrazione dell'istinto; i Dummo avrebbero solamente bisogno di una direzione razionale che possa sintetizzare il loro sound in qualcosa di più granitico. "Bear Me Out" promette davvero bene.

 

da ROCKIT ( www.rockit.it )

Dummo [Umbria]
Bear me out

Ci sono ascolti che fanno pensare “si stancheranno mai di imitare i loro idoli e ripetere sempre le stesse cose?!” e altri che ti portano ad affermare “finalmente qualcuno in grado di rielaborare in modo autonomo quanto altri hanno precedentemente fatto!”.
Bear me out è uno di questi ultimi: un disco sorprendentemente fresco e originale.
Non è facile individuare l’elemento capace di rendere i Dummo tanto convincenti, forse l’energia della loro musica, forse la voce del cantante, vagamente somigliante a quella di Jello Biafra dei Dead Kennedys, forse il sovrapporsi della seconda voce, il ritmo del basso, le distorsioni (…): sono tante le cose che portano a considerare i Dummo come un gruppo che farà parlare di sé molto presto.
Probabilmente fra i molteplici fattori positivi risulta decisivo il fatto che un lavoro in grado di mantenere toni tanto alti per l’intera sua durata è cosa ormai rara.
Da sentire assolutamente la quarta traccia Air guitar kills, con un travolgente “I don’t wanna rock”, che ti si pianta in testa fino alla successiva Kind hearts all star, per poi passare a Madame baseball, dove apprezzare appieno la seconda voce, nel suo “That’s me again ” perfettamente legato agli altri elementi del pezzo.

recensione di Sara Loddo

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